Patrizia La Daga
Patrizia La Daga io non la conosco, personalmente intendo dire. Ci siamo incontrate su LinkedIn attraverso il mio blog. Mi ha incuriosito subito il riferimento al suo sito www.italianiovunque.com e questa mia curiosità mi ha spinta a contattarla per proporle un’intervista. E così, grazie ancora una volta al web, ci siamo accordate per una chiacchierata online. Vedendola, mi hanno subito colpito i suoi occhi luminosi, vivaci e il suo sorriso aperto, entusiasta, insomma mi ha trasmesso subito l’idea di una persona positiva, felice direi.
Io sono un po’ timida ed ero un po’ emozionata prima della chiamata – mi succede sempre quando devo avviare una conversazione con una persona che non conosco – ma dopo esserci presentate, tutto mi è venuto molto naturale. E così mi ha raccontato di vivere in Spagna, a Barcellona, dove si è trasferita nel 1999 per dirigere una rivista economica.

Entra nel mondo del giornalismo all’inizio degli anni novanta scrivendo per il mensile Millionaire, e nel contempo collabora con riviste e Tv private e… “non l’ho lasciato più”, dice di quel mondo. Sempre alla ricerca di nuovi progetti, nel 2016 fonda il magazine online italianiovunque.com, oggi partner del portale Tiscali.it, con l’intento di promuovere il talento degli italiani nel mondo. Il consenso del sito, che racconta le storie di eccellenza italiana, nel 2018 la convince a organizzare l’evento di storytelling motivazionale Leadership Arena, nel quale grandi personaggi di ogni settore sono invitati a raccontare la loro storia come fonte di ispirazione per chi ambisce a migliorare se stesso sia nella vita privata che in quella professionale. Si può dire che Patrizia La Daga oggi si occupa di comunicazione a 360 gradi.

Dopo i suoi due figli, “la letteratura è una delle mie grandi passioni, tanto quanto il viaggiare” dice, ma senza tralasciare lo sport. Sostenitrice della «mens sana in corpore sano» si allena quotidianamente e in passato ha partecipato anche a gare di triathlon. Abituata a condurre interviste, presentare eventi e condurre gruppi motivazionali, ha accettato di buon grado questa volta di invertire i ruoli e di farsi intervistare. Grazie Patrizia.
Dieci Domande
Ciao Patrizia, mi racconti una tua giornata tipo? È difficile per me avere una giornata tipo, perché come molti freelance tutto dipende dai progetti in corso. Da anni il mio ufficio è in casa, quindi il Covid19 non ha cambiato molto le mie abitudini. Tutto sta in avere disciplina e organizzare bene il tempo. Per mia fortuna non ho bisogno di dormire molto, perciò in genere mi alzo presto e mi metto subito al computer. Lavoro fino alle 14.00 e, se non l’ho già fatto all’alba, vado ad allenarmi. Mangio qualcosa al volo e ricomincio a lavorare. Spesso il pomeriggio è dedicato a incontri o eventi, anche se in questi mesi la vita sociale, come per tutti, si è trasferita online.
Nel 1999 ti sei trasferita a Barcellona. Com’era Barcellona allora e com’è oggi? Barcellona era ed è una città splendida. Il mio progetto iniziale era di restare al massimo due anni, ma quando sono arrivata qui ho capito che non me ne sarei più andata. In quel momento la capitale catalana era una città aperta al mondo e in continua evoluzione. Una città con una vita culturale effervescente, i servizi di una grande metropoli, ma con una dimensione non caotica, a misura d’uomo, direi. Oggi, purtroppo, un governo cittadino che non condivido, mi pare l’abbia resa più chiusa e provinciale, per non parlare delle vicende politiche legate all’indipendentismo, che hanno creato forti tensioni a livello sociale.
Tu sei milanese di nascita. In questi 21 anni vissuti all’estero, ai tuoi occhi com’è cambiata Milano? Milano oggi è indubbiamente una città migliore rispetto a quella che ho lasciato alla fine degli anni Novanta. Una metropoli moderna, dinamica, culturalmente ricca e con un’immagine eccellente nel mondo. Detto questo, trovo che gli sforzi di chi governa la città siano stati eccessivamente concentrati sulle zone più elitarie, per renderle ancora più attraenti per turisti e investitori, ma che si siano trascurate le periferie. Ci sono zone non troppo distanti dal centro che oggi sono molto più degradate rispetto a vent’anni fa e sembrano quasi dei ghetti. Strade in cui si vedono soltanto serrande abbassate, muri coperti di graffiti e dove raramente si sente parlare italiano. Una tristezza infinita…
Come ti è nata l’idea di Leadership Arena? Partiamo dal presupposto che sin dagli inizi della mia carriera giornalistica ho avuto spesso a che fare con tutto ciò che riguarda l’imprenditorialità, la formazione, il coaching, la motivazione e il team building. Per natura mi sono sempre piaciute le storie delle persone coraggiose, quelle che lottano per i propri obiettivi e che, anche quando cadono e falliscono, si rialzano e continuano a provarci. Ogni volta che intervisto qualcuno con queste caratteristiche mi appassiono, mi ispiro e imparo qualcosa. Per questo ho voluto creare un evento-show che unisse la motivazione e l’intrattenimento. Sul palco di Leadership Arena sono passati grandi personaggi come Alberto Tomba, Jury Chechi o Giusy Versace. Le prime due edizioni si sono tenute a Barcellona, la terza, che si sarebbe dovuta celebrare in ottobre a Madrid, è stata spostata al 5 giugno del 2021 e prevediamo di avere anche grandi ospiti spagnoli.
Pensi che cambieranno le esigenze del tuo uditorio dopo il Covid19? Io ho molta fiducia nella scienza e nella ricerca e spero davvero che presto si trovi un vaccino e una cura efficace. Ciononostante, è inevitabile tenere conto dei rischi di contagio. Per questo abbiamo preferito cambiare la data dell’evento. Mettere 500 persone in una sala in ottobre sarebbe stato impossibile.
Tra le tante storie raccontate in italianiovunque.com, ce n’è una che ti ha più colpito? Tutte le storie che scrivo per me sono ispiratrici, ma di certo tra quelle che ricordo con più piacere ci sono quella di Mauro Porcini, Senior Vice President e Chief Design Officer di PepsiCo a New York, un grande manager partito dal basso e arrivato ai vertici di una multinazionale grazie al suo talento e al suo spirito di sacrificio. E poi quella di Cristina Valcanover, un’impiegata pubblica che dopo aver superato due tumori si è regalata una vacanza in Tanzania dove ha conosciuto un masai di cui si è innamorata. Qualche anno dopo i due, tra mille difficoltà, si sono sposati e oggi sono imprenditori. Vivono tra l’Italia e il villaggio masai in Tanzania, dove portano i i turisti, ma dove hanno anche costruito scuole per i bambini. Una storia molto edificante.
La letteratura è una delle tue grandi passioni, Nel 2012 hai creato Leultime20.it, blog dedicato ai temi culturali, sociali e letterari. Quando per te un libro è un buon libro? Leggere per me è un grande piacere e, a differenza di molti colleghi, blogger o critici letterari, che non esitano a mettere in cattiva luce i libri e gli scrittori più popolari, perché ritenuti troppo commerciali, io mi sento di più “larghe vedute”. Passo dai testi più colti e raffinati della piccola casa editrice indipendente al best seller da milioni di copie senza nessuna difficoltà. E me li godo entrambi. Per me un buon libro può essere quello che provoca dubbi e riflessioni e ti obbliga a scavare dentro di te, ma anche quello, più semplice, che però sa coinvolgerti con una storia appassionante. Il requisito fondamentale è che il testo sappia emozionarmi.
Anche lo sport è molto importante nella tua vita. Cosa significa per te? Da ragazzina amavo vedere lo sport in Tv con mio padre. Dal calcio, allo sci, fino al pugilato, mi appassionavano le competizioni. Ma io a parte un breve periodo in una squadra di volley, non riuscivo mai a praticarne nessuno. Avevo alcuni problemi ai legamenti delle gambe che mi obbligavano a lunghi periodi di inattività. Il fatto di avere spesso le stampelle e di passare ore a letto o su un divano faceva di me una divoratrice di libri, ma anche un’adolescente sovrappeso. Intorno ai vent’anni sono stata operata e subito dopo il medico mi ha raccomandato dei cicli di fisioterapia in una palestra. Quelle settimane passate a fare esercizi tra panche e bilancieri, insieme a tante persone che si allenavano per stare in forma, sono state decisive. Terminato il periodo di riabilitazione, ho continuato ad andare in palestra, poi ho cominciato a correre, ad andare in bici, a nuotare. Insomma, fare sport è diventato parte integrante delle mie giornate perché mi fa stare bene, è un modo per mettermi alla prova, di sfidarmi, ma anche di prendermi cura di me.
Tu ami molto viaggiare. Cosa non può mancare nella tua valigia? Un libro da leggere, il computer per scrivere e un paio di scarpe da running per allenarmi ovunque io sia.
Progetti per il futuro? Tantissimi. Anche perché io come freelance sono sempre aperta a nuove collaborazioni. Covid19 permettendo vorrei continuare a dedicarmi soprattutto agli eventi. C’è un progetto che sto sviluppando grazie alla collaborazione con un imprenditore italiano “illuminato”, che mi sta molto a cuore perché è dedicato all’orientamento degli studenti. Poi ho ricevuto proposte per portare Leadership Arena anche in altri paesi e le sto valutando. Per non farmi mancare nulla c’è nell’aria anche un format televisivo, sempre basato nello storytelling e un progetto dedicato a chi vuole trasferirsi a Barcellona. Le idee non mancano, il resto è determinazione e tanto lavoro.