Ernesto Esposito
Ernesto mi è stato presentato a Rio in una tarda mattinata di luglio; era in calzoncini corti, havaianas e t-shirt e ci riconoscemmo subito come italiani. A presentarmelo un’amica che ricevette da lui un pacchetto che, seppi dopo, conteneva un paio delle sue splendide scarpe. Di lui mi colpì subito la modalità gentile di porsi e la sua pacatezza.
Vengo a sapere dopo, chi è Ernesto.
Ernesto Esposito inizia la sua carriera negli anni ’70 lavorando dietro le quinte del più importante produttore di scarpe del mondo, Sergio Rossi, mancato proprio in questi giorni. Lavorano insieme, gomito a gomito, per più di 15 anni fino agli anni ’80, quando Ernesto si unisce al team del giovane Marc Jacobs, con il quale collabora per quasi dieci anni. A quest’esperienza ne seguono altre nelle Maison più in voga: Chloe, Sonia Rykiel, Louis Vuitton, Fendi, Missoni e Geox, dove Ernesto ha avuto la possibilità di mostrare in tutte, le sue idee e il suo talento nel mondo della moda.
Ernesto tuttavia non è conosciuto solo per le sue splendide creazioni nel campo delle calzature, egli infatti è da sempre appassionato per l’arte moderna che ha sviluppato in lui un modo particolare e distinto di guardare alle cose.
A 17 anni visita una mostra di A.Warhol a Parigi e si innamora di una delle famose Jackie. Tornato a Napoli riesce ad acquistarne una in mostra nella galleria Lucio Amelio che diverrà poi – suo “maestro nel percorso dell’arte”- pagandola a piccole rate. A partire dagli anni ‘80 conosce e frequenta artisti quali Cy Twombly, Joseph Beuys, Andy Warhol, Helmut Newton, solo per citarne alcuni.
Ernesto, è considerato uno dei più importanti e poliedrici collezionisti d’arte contemporanea del nostro Paese. Ancora oggi continua ad arricchire la sua raccolta con opere provenienti da tutto il mondo, vantando una raccolta che spazia dalla fotografia all’installazione, dalla pittura al video, fino ad arrivare a opere monumentali. Ma Ernesto non è solo un collezionista, è soprattutto un ricercatore, che vanta importanti collaborazioni con le gallerie più influenti del settore.

Me Two
Di recente, dalla sua vastissima collezione, riconosciuta come una fra le più interessanti sul piano internazionale, sono state selezionate le opere della mostra ME TWO in occasione di Artissima, la più importante fiera di arte contemporanea in Italia, che si svolge a Torino.
Terminata da poco con grande successo, la mostra si è articolata in due sezioni distinte: “Some people” e “Brasil!”
Some people, rappresenta la storia della fotografia e per Ernesto, la fotografia non solo è una grande passione, ma una componente essenziale della sua vita, e quindi della collezione stessa. Frutto di acquisizioni in gallerie, ma anche di rapporti personali di amicizia con i maggiori artisti del nostro tempo, la mostra si compone di un cospicuo numero di opere – fotografie originali, stampe vintage, in formati diversi anche di grandi dimensioni – raccolte nel corso degli anni con intenti e criteri diversi.
La selezione documenta la nascita e lo sviluppo della fotografia d’avanguardia con un focus particolare sugli autori che hanno contribuito maggiormente a definire l’ambito specifico della fotografia nell’arte contemporanea.
L’obiettivo della mostra è stato quello di raccontare, attraverso lo sguardo acuto del collezionista come, da mera forma documentaria, la fotografia si sia affermata a linguaggio autonomo parallelo alla pittura, alla scultura, al disegno e come da sempre sia in dialogo, anche conflittuale, con le altre discipline artistiche. Fra gli interpreti e paladini di questa libertà di espressione troviamo artisti quali: Von Gloeden, Mapplethorpe, Helmut Newton, Bruce Weber, Cindy Sherman, Thomas Ruff, Thomas Struth, Wolfgang Tillmans.
La seconda sezione, Brasil!, dedicata all’arte contemporanea brasiliana degli ultimi vent’anni, con particolare attenzione alle nuove generazioni di artisti, che sono riuscite a delineare una corrente stilistica originale. Il territorio brasiliano, con le sue contraddizioni e differenze ha dato vita a poetiche complesse che rispecchiano il mondo intero.
La peculiarità della mostra consiste in questa ricchezza di punti focali: dalle architetture di Oscar Niemayer, che illustrano le favelas; ai materiali come terra e legno di Matheus Rocha Pita; agli oggetti di uso comune di Opavivarà!, dettagli di uno spaccato sociale ricco di criticità tra tradizione e progresso.
Come si sarà intuito, Ernesto è persona di grande creatività, sensibilità e intuito uniti a una forte determinazione e volontà: un grande napoletano “verace” nel mondo!

DIECI DOMANDE
Ti abbiamo definito un napoletano “verace”, qual è il tuo rapporto con Napoli? Napoli è la mia terra e la vivo come parte di me stesso, amo i suoi colori, la sua musica, la sua storia, la sua umanità. A Napoli abbiamo avuto sempre un miscuglio di razze e religioni, qui il sacro e il profano si incontrano, un po’ come in Brasile. Napoli è una città che, se non la vivi non puoi capirla, ma che ti dà una energia unica.
E con Rio de Janeiro? Rio è la mia seconda casa. Amo Rio quanto Napoli: non mi fa sentire assolutamente un turista! Il sound è diverso, ma almeno c’è! Hai mai sentito per esempio un sound a…Pavia?
Come pensi si collochi il Brasile rispetto alla moda e all’arte? Non parlerei di moda, per carità! La moda è legata a un’idea di qualità dei materiali e di alto artigianato, lì tutto appare carino, ma con un’aria leggermente cheap. Io che ho avuto la fortuna di lavorare nella moda a livelli altissimi lo percepisco. Per l’arte il discorso è diverso. Trovo oggi in Brasile quella freschezza e voglia di fare che mi ricorda molto quello che abbiamo vissuto qui da noi negli anni Sessanta e Settanta. Non bisogna dimenticare che ora il Brasile è un Paese in grande sviluppo, ma trent’anni fa tutto aveva un’aria diversa. Ho vissuto lo stesso entusiasmo agli inizi del 2000 con i cinesi e la loro avanguardia.
In questi giorni è mancato Sergio Rossi, che cosa ti porti dentro di quel periodo vissuto fianco a fianco? Sergio Rossi è stato uno dei miei maestri, ne ho avuti tre, e quantunque anch’io abbia dato molto a lui, quel che ho assimilato è stata la sua continua voglia di perfezionamento. Pensa che era capace di rifare una scarpa almeno tre volte alla ricerca di quella perfezione che riusciva quasi sempre a raggiungere. Era un uomo generoso e con una visione tutta sua della vita: un grande!
Un paio di scarpe possono essere un’opera di arte? Le scarpe possono essere la massima espressione di un alto artigianato e tecnica, ma mettiamo da parte l’arte, per favore!
Che cosa rende un oggetto un’opera d’arte? L’idea di arte ha subito notevoli cambiamenti nel tempo… con Duchamp abbiamo incominciato a pensare attraverso una opera, in precedenza l’arte era quello che poi è diventata la fotografia e cioè trasmettere un’immagine e riprodurre il reale in maniera più o meno corretta. Abbiamo avuto degli artisti che erano di un livello superiore agli altri e questo esiste anche oggi. Un oggetto diventa un’opera d’arte quando ti fa riflettere e quando attraverso di esso puoi capire perfettamente quando e come è stato pensato ed eseguito. L’arte contemporanea è lo specchio del nostro tempo.
Della recente mostra Me Two, che cosa secondo te ha contribuito maggiormente al suo successo? In Some People, penso la mia figura collocata in un contesto preciso. Io mi sono sempre sentito come Zelig di Woody Allen: al posto giusto al momento giusto e questo lo si percepisce dalla mostra. Ho visto persone guadarmi in maniera diversa dopo la mostra. Per quanto riguarda Brasil!, quel che ha colpito è stata la freschezza delle opere, anche quelle più costose, e il coraggio di alcuni di comprare cose inverosimili all’occhio dei molti, ma giustissime all’occhio di pochi. Devo qui ringraziare Elsa Ravazzolo che mi ha aiutato a rendere questa esposizione così nuova.
Quali sono oggi i Paesi più effervescenti dal punto di vista artistico?L’Africa, il Messico e il Brasile.
Per te che sei un globe-trotter, quali sono i Paesi ai quali ti senti più legato e perché? Amo Parigi per gli spazi, Londra per lo stile di vita, Atene per la storia, la Spagna per il cibo e il Brasile perché ci vivo, anche tre mesi all’anno.
Quali sono i tuoi prossimi progetti? Sto creando una fondazione per la mia collezione d’arte e per poter proporre e aiutare giovani artisti. Non voglio più lavorare, mi correggo, non voglio più lavorare per vivere. Ho la possibilità di non farlo e i miei quasi settant’anni vorrei godermeli al mare e al sole. Ho dato tanto e ora voglio “prendere” tutto quello che posso.